Attualità

L’eredità di Fruttero e Lucentini

By on 12/05/2022

Anni fa mi venne regalato un piccolo libro della Einaudi che mi aprì un mondo. Stiamo parlando del marzo del 2005, oramai sono passati diciassette anni. Si trattava di un decalogo semiserio ad uso di un’aspirante scrittore: ” I ferri del mestiere“. Questo manuale di scrittura creativa era stato confezionato da due grandi scrittori italiani che, purtroppo, ora non sono più di questo mondo. Sto parlando del lungo sodalizio letterario di FRUTTERO E LUCENTINI.

Il primo piemontese e il secondo romano, nati entrambi negli anni venti, sono stati per me un punto di riferimento, per la grande capacità di raccontare alcuni generi letterari, come il romanzo e il giallo, con grande scioltezza, e per saper costruire trame ed ambientazioni con mutevole e incessante capacità di racconto. Ma quello che non ho mai dimenticato di quel piccolo libro che mi ha insegnato molto, è stato il conoscere in quali e quanti modi una storia potesse essere trasformata. Lo scrittore come un acrobata delle parole. Non solo. Il nucleo centrale di una storia possiede svariate letture a secondo di numerose variabili. La punteggiatura, l’analisi accurata del contesto, l’attenzione maniacale e l’uso sapiente e calibrato di alcuni aggettivi.

Quello che mi ha affascinato di quel saggio è stata la capacità di scomporre e ricomporre una storia a seconda dell’obbiettivo prefissato. Dati alcuni elementi può diventare una parodia, può trasformarsi in una storia di fantascienza, diventare un giallo o una storia sentimentale.

In fondo non è altro che un esperimento sulla duttilità del linguaggio e sulle capacità di trasformare un testo base, operando sostituzioni lessicali, frantumando la sintassi. La letteratura è qualcosa di estremamente vivo, perché è il racconto dell’esistente. Una cosa analoga, ma ancora più corposa, e’ stata fatta da Queneau. Con ” Esercizi di stile” e novantanove variazioni sul tema; al centro c’è una storia, alla quale vengono applicate tutte le figure retoriche. Un esperimento sulle possibilità del linguaggio, che può essere usato per fini didattici.

Tornando a Fruttero e Lucentini, un romanzo che mi ha appassionato in maniera particolare è ” La donna della domenica“, in quanto la caratterizzazione dei personaggi è stata così efficace e così veritiera, da costituire una sorta di fedele modello di una rappresentazione di una Torino anni settanta, con i tanti volti che la ricordano: l’ambiente borghese del centro storico, la collina e le ville liberty, le botteghe dei marmisti del cimitero generale, la periferia, la zona del Balon e il mercato dell’antiquariato di Porta Palazzo.

Tante facce di una città che è una fotografia precisa di un mondo che ora non c’è più, ma che ha saputo, per chi l’ha letto, offrire uno spaccato realistico della mia città. Fedele ne è stata anche la trasposizione cinematografica che ha tradotto in immagini quell’universo, in cui si percepisce il sapore e le contraddizioni di una città operaia, con un passato aristocratico testimoniato dall’architettura liberty, in cui in quegli anni nord e sud si fondono nella costruzione di un’identità, quella di città industriale che non dimenticava di essere stata capitale d’Italia. Una città a vocazione industriale in cui la forte industrializzazione e una certa freddezza, l’ha fatta considerare priva di umanità, incapace di accogliere, in virtù di un carattere chiuso e di un’austerità ereditata dal suo passato.

Di quel passato restano cartoline in bianco e nero, e la città è oramai laboratorio di accoglienza di cittadini e studenti da tutto il mondo, ha perso quella freddezza originaria. Non è più città a vocazione industriale ma cerca a fatica una sua identità, con slanci ed aperture improvvise. Ha perso anche quella patina di riservatezza a tratti obsoleta, ereditata dal suo pedigree, una specie di tratto distintivo, ma non ha ancora un volto preciso, a mio avviso.

A ricordo di quella Torino, e del racconto fedele dei due scrittori, resta una piccola iniziativa del Comune in via di definizione in questi giorni, di intitolare una via a Fruttero e Lucentini, due narratori che hanno restituito con le loro pagine, una fotografia precisa di quegli anni.
Del percorso letterario dei due scrittori è nota la loro lunga carriera e la produzione instancabile, ma per Torino resta il loro grande contributo a fissare sulla carta le immagini, i personaggi straordinari e gli umori di quella città.

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