Attualità

È solo questione di dignità

By on 08/10/2013

Nel panorama politico/sociale degli ultimi giorni si sono affacciati alla cronaca alcuni fatti dolorosi e drammatici, che hanno rimesso al centro un concetto di cui si parla sempre troppo poco ma che è invece fondamentale in uno stato che ama definirsi civile: la dignità dell’uomo.

Il primo fatto in ordine cronologico riguarda le vicende travagliate di un noto uomo politico, nei cui confronti è stata emessa una condanna definitiva. Il secondo fatto riguarda invece l’infelice naufragio dei rifugiati e la perdita così massiccia di vite umane. I due fatti in sé e per sé non hanno alcun collegamento, ma analizzando le rispettive vicende umane si può notare come il valore dell’uomo nella società in cui viviamo assume una valenza sempre più svuotata di ogni messaggio di valore.

Una sentenza definitiva ha ancora un valore nel nostro paese? La Costituzione che all’art. 27 cita: ” la responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva.” Si tratta di una norma di carattere generale, un principio di garanzia che si estende ad ogni condannato nel territorio dello Stato italiano. La dignità dell’individuo presuppone che un cittadino italiano sottoposto alle leggi del suo paese, si metta a disposizione dell’autorità giudiziaria in seguito ad una condanna definitiva e che, se quella stessa legge preveda misure alternative, il condannato possa accedervi qualora ci siano i requisiti. E soprattutto la dignità dell’individuo sta nell’accettare il suo destino, mettendo da parte posizioni intransigenti che un normale cittadino, nella stessa situazione, non avrebbe alcuna possibilità di estrinsecare.

Il secondo fatto, ancora più grave perché inerisce al valore della vita umana, è quello che riguarda il problema dei rifugiati. Il problema dei paesi che subiscono guerre prolungate e fratricide è una situazione di cui molte nazioni cosiddette civilizzate tendono ad ignorare. I danni più laceranti di una guerra sono le conseguenze indirette: i sopravvissuti. Il sopravvissuto ad un conflitto è un uomo lacerato, senza identità, senza patria, qualche volta senza più una rete famigliare. Un uomo o una donna a cui la guerra ha tolto tutto.

Quell’uomo ha già perso la sua identità completamente e non gli rimane che rivolgersi ad altri paesi a cui chiedere di ricominciare, per avere la speranza di affacciarsi nuovamente alla vita da uomo con la dignità che è il primo presupposto di una società che ama definirsi civile. Una comunità non è soltanto tenuta a far rispettare obblighi fiscali, cioè a considerare i cittadini servi qualora si tratti di adempimenti contabili, ma è tenuta anche a sostenere con iniziative importanti quei paesi che sono il primo rifugio e la prima speranza per i sopravvissuti dopo la dissolvenza di se stessi.

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