Donne iraniane: il talento solleverà il velo
Elham Asghari è la nuotatrice iraniana che ha imbarazzato l’Iran.
Lo scorso giugno Elham ha nuotato per venti chilometri nel Mar Caspio con una improbabile muta stile abito e relativo foulard che non hanno fatto altro che appesantire ulteriormente i suoi movimenti in acqua e la resa complessiva della sua performance.
Ha stabilito un record nazionale nuotando in meno di sei ore ma nonostante ciò, non le è stato riconosciuto.
La nuotatrice ha denunciato la discriminazione in un video postato su YouTube ed è stata intervistata sul Guardian.
Quello che emerge da questa storia è la profonda solitudine che accompagna la vita di molte donne nate e cresciute in questi paesi, dove i divieti nei confronti delle donne sono così assurdi e anacronistici da scuotere le coscienze, senza però poter impedire il ripetuto verificarsi di fatti come questo accaduto alla ragazza iraniana.
Anche quando nella vita di queste donne non si introduce il dolore causato dalla guerra, la parola che attraversa in maniera trasversale le vite di molte donne è la parola privazione. Non solamente una vita di privazioni, ma anche una vita di controllo che la propria immagine non sia di offesa innanzitutto alla propria religione , poi al proprio paese, alla propria comunità, al proprio compagno.
E’ in atto una campagna su Amnesty International a questo scopo: Stop ai maltrattamenti nei confronti delle attiviste della campagna ” Un milione di firme.” Le attiviste iraniane vengono regolarmente arrestate dalla polizia perché chiedono un regime non discriminatorio nei confronti delle donne. La polizia iraniana ha inviato una diffida a 62.000 donne per “uso non conforme del velo”.
L’8 maggio scorso Shirin Ebadi, premio Nobel per la pace 2003, ha tenuto una ” lectio magistralis” alla Luiss Guido Carli di Roma, esprimendo un concetto fondamentale.” Esiste un modo strumentale di usare l’Islam e di applicare la Sharia. La soluzione politica è quella di separare lo Stato dalla religione. Il secolarismo è il primo passo per la democrazia.” Shirin Ebadi vive a Londra da dieci anni in una condizione di esilio forzato, lontana dalla sua famiglia.
L’episodio della nuotatrice iraniana e della sua ingiusta esclusione è soltanto l’ultimo anello di una catena infinita di prevaricazioni e soprattutto una palese dimostrazione su quanto sia profonda la paura del talento femminile nelle sue varie declinazioni. Ancor di più l’essenza della femminilità che si esprime attraverso il corpo e il viso è percepita come un insulto, come un offesa verso un regime che attua discriminazioni giustificando il proprio operato come mancata osservanza di precetti religiosi.